Il tempo dell’attesa non è un tempo vuoto

Sabato 7 giugno l’arcivescovo Carlo ha presieduto in Cattedrale a Gorizia la Veglia di Pentecoste, contrassegnata quest’anno in modo particolare dalla preghiera per la pace. Riportiamo il testo della sua omelia.

Le letture della Parola di Dio, che sono il cuore di questa veglia, hanno mostrato come già nella storia della salvezza precedente la nascita di Gesù lo Spirito Santo era all’opera per ricucire la dispersione successa a Babele, attraverso l’alleanza del Sinai e l’insegnamento dei profeti. Lo Spirito Santo è stato effuso in particolare, come promesso dal Risorto, il giorno di Pentecoste. Un dono che permette alla Chiesa anche oggi di essere se stessa e di vivere il tempo di attesa del compimento del Regno di Dio con quell’atteggiamento descritto nelle ultime parole della Bibbia: «Lo Spirito e lo Sposo dicono: “Vieni!”». La Sposa è la Chiesa e Colui che deve venire è il Signore Gesù: «Vieni, Signore Gesù» (Apocalisse 22,17.20). Il tempo della Chiesa e quindi un tempo di attesa, un’attesa della venuta definitiva del Signore Gesù, del Risorto, che porterà a compimento finalmente il Regno di Dio dove ci saranno nuovi cieli e una terra nuova, dove abiterà la giustizia e la pace (cf 2Pietro 3, 13). Lo Spirito Santo tiene viva questa attesa, non fa venir meno la fede nel Risorto, la speranza nel compimento della promessa e la crescita nell’amore nel cammino della Chiesa.
Il tempo dell’attesa non è un tempo vuoto, inattivo, in cui semplicemente si aspetta che arrivi prima o poi un “lieto fine”, ma è un tempo di impegno, di testimonianza, di azione. Come afferma il Concilio Vaticano II, il Cristo risorto, «agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra». E sempre il documento del Concilio sulla Chiesa nel mondo contemporaneo prosegue precisando: «ma i doni dello Spirito sono vari: mentre chiama alcuni a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell’umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare attraverso tale loro ministero la materia per il Regno dei cieli» (Gaudium et spes, n. 38).
Uno degli impegni più importanti che la Chiesa, grazie all’opera dello Spirito, deve svolgere insieme a tutta l’umanità è il servizio alla pace. Questa sera vogliamo chiedere specificamente allo Spirito Santo il dono della pace, unitamente a tutti quei doni che rendono possibile e realizzabile nella concretezza di oggi una convivenza tra gli uomini e i popoli che sia pacifica, giusta, concorde, rispettosa della dignità di tutti, capace di valorizzare il contributo di ciascuno per il bene comune.
Tutti siamo molto preoccupati per le gravi e pesantissime situazioni di guerra con migliaia e migliaia di persone, militari e civili – purtroppo bambini compresi –, che vengono feriti e uccisi. Conosciamo, perché ne parlano ogni giorno i mezzi di comunicazione sociale, la situazione di Gaza e di tutto il Medio Oriente, e quella dell’Ucraina, ma purtroppo ci sono oggi nel mondo tantissime altre realtà di guerra, di violenza, di ingiustizia che provocano altrettanti morti e feriti e distruzioni di case e devastazioni di territori.
A fronte di queste tragedie, la reazione più immediata è quella dell’impotenza: che cosa possiamo fare noi in concreto contro la guerra e a favore della pace? Sappiamo bene infatti che le situazioni sono estremamente complesse, che se anche stasera si arrivasse immediatamente a un “cessate il fuoco” in ogni territorio di guerra, sarebbe comunque estremamente difficile trovare in tempi ragionevoli accordi che assicurino a tutte le parti in causa la difesa dei propri diritti, la ricostruzione di quanto distrutto, la riparazione dei danni dei bombardamenti, il perseguimento dei criminali di guerra, la ripresa dell’economia, la possibilità di una vita serena. Siamo però consapevoli che nessuno ha intenzione di arrivare anche solo a una tregua temporanea e che purtroppo le sorti di molti popoli sono in mano a personaggi che usano cinicamente la guerra per i propri interessi personali di potere o che, invece di affrontare i gravi problemi del mondo di oggi con la responsabilità che loro spetterebbe grazie al ruolo che sono stati chiamati a rivestire, agiscono sulla base – per quanto a noi è dato di capire – di impulsi emozionali contraddittori e destabilizzanti. A ciò dobbiamo aggiungere che sembra farsi pericolosamente strada l’idea che l’unica soluzione al problema della guerra sia quella di prepararsi ad altre guerre sempre più distruttive e senza alcuna realistica prospettiva di giungere a un mondo pacificato, incrementando a tale scopo la produzione e il commercio delle armi ben al di là di ciò che sarebbe proporzionato per garantire la legittima difesa di ciascun Stato e per tutelare i diritti dei deboli.
Che cosa possiamo allora fare per la pace, oltre che pregare? La preghiera è fondamentale e qualche volta sembra essere l’ultima possibile azione del credente con il venire meno di tutti gli altri strumenti a favore della pace. In realtà la preghiera non è mai l’ultima cosa, ma casomai è la prima, perché esprime la nostra fede in un Dio che è amore, che non abbandonerà mai l’umanità alla propria autodistruzione, che è in grado anche in situazioni umanamente impossibili di convertire il cuore delle persone, compresi quello dei potenti di questo mondo. La preghiera, come quella che stiamo vivendo questa sera, è capace con il dono dello Spirito di illuminare le nostre menti perché possiamo trovare comunque delle intuizioni di pace, di riaccendere nei nostri cuori la speranza, di farci camminare concretamente su vie di pace.
Affinché queste mie riflessioni non restino solo parole, vorrei accennare ad alcune scelte realistiche che come comunità cristiana potremmo fare a favore della pace, sostenuti dal dono dello Spirito che invochiamo nella preghiera.
Un primo ambito di azione è quello della sfera in senso ampio delle emozioni. Esistono infatti delle emozioni positive nei confronti della pace come quando ci si commuove fino al pianto di fronte ai bambini uccisi, feriti, privati del cibo, o anche vedendo case di abitazione sventrate e bruciate da missili e droni. È un’emozione positiva anche il profondo sdegno che deve esserci in noi di fronte a questi e ad altri veri e propri crimini di guerra. Ci sono però anche delle emozioni negative come quelle di condanna generalizzata di alcuni popoli, di rifiuto anche solo del tentativo di comprendere i punti di vista degli altri, di chiusura assoluta al dialogo.
Le emozioni vanno ben gestite anche nella nostra realtà e non solo nelle situazioni di guerra. Per esempio evitando di amplificare oltre misura fatti incresciosi che possono capitare, di rifiutare strumentalizzazioni e semplificazioni ai soli evidenti fini elettorali di problematiche complesse, di rendersi disponibili con tanta pazienza e saggezza a tutto ciò che può servire a conoscere l’altro, a comprendere la sua cultura e la sua mentalità, a cercare forme serene di convivenza rispettose delle leggi e dei diritti inalienabili delle persone e delle comunità.
Un secondo ambito di azione a favore della pace è quello della riflessione, cioè dell’approfondimento delle tematiche e delle concrete questioni che stanno alla base della pace. Accenno soltanto, a mo’ di esempio, a temi quali il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali che la nostra costituzione proclama (art. 11), le vie diplomatiche da incrementare a favore della pace anche con forme nuove, le modalità per garantire e ristabilire la giustizia soprattutto a favore dei deboli, i limiti della legittima difesa, le condizioni etiche per l’esistenza di eserciti. Tutte questioni importanti che la dottrina sociale della Chiesa, in particolare il magistero del Concilio Vaticano II e degli ultimi pontefici fino ad arrivare all’attuale, papa Leone, hanno approfondito, ma che spesso i cristiani non conoscono. Sono, infatti, significative le marce della pace e simili iniziative (ricordiamo tutti quella che si è svolta qui da noi alla fine dell’anno 2023), ma limitarsi a gesti “profetici” senza poi affrontare in modo propositivo la complessità delle questioni, rischia di essere qualcosa di poco incisivo o persino di retorico.
Resta, però, il fatto – ed è un terzo ambito di azione che il mondo cattolico dovrebbe affrontare con più coraggio anche attraverso le proprie organizzazioni – dell’importanza di intervenire, con precisione, competenza e con il massimo rispetto delle responsabilità e dei ruoli di ciascuno, anche sulle scelte prese a livello politico ed economico nel nostro Paese quando sono difformi da quanto richiesto dalla nostra costituzione, dai trattati internazionali sottoscritti, dagli impegni assunti nel tempo a favore della pace, della giustizia, dei diritti.
Che lo Spirito Santo ci illumini tutti e, visto che siamo ancora agli inizi del pontificato di papa Leone, assicuri una grazia speciale al Santo Padre, ormai – vorrei sbagliarmi, ma purtroppo è così – l’unica autorità a livello internazionale che può alzare la voce a difesa della pace, della giustizia, degli oppressi.

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